Perché l'analisi transazionale?
L’analisi transizionale è una teoria secondo la quale la personalità degli esseri umani è strutturata su tre ”modalità” fondamentali note come ”Stati dell’Io” ed indicate come Genitore, Adulto e Bambino. L’integrazione di queste tre parti risulta fondamentale per la conduzione di una vita sana e funzionale a livello psico-fisico. Un loro funzionamento non sincronico ed armonioso è infatti associabile a disfunzioni, anche importanti, della nostra psiche; ad esempio, l’esclusione dell’Adulto è di norma associata al sorgere della Psicosi.(1)
In questo contesto si inserisce il ”Triangolo Drammatico”, ovvero una piramide composta da tre schemi comportamentali noti come Salvatore, Vittima e Carnefice. Data la propria condizione nevrotica, la gran parte degli esseri umani trascorre le proprie vite alternando la propria condotta sulla base di queste tre posizioni. Anche per tale motivo, spesso e volentieri, ci troviamo a reagire a determinate situazioni critiche secondo schemi ripetitivi già sperimentati in passato, creando così sofferenza per noi e per gli altri e di fatto accumulando Karma negativo tramite il radicamento della coazione a ripetere.
Come si attiva il ”Triangolo Drammatico”?
Ogni qual volta ci relazioniamo a qualcuno, che esso sia sconosciuto o conosciuto, ci identifichiamo nel ruolo di Salvatore, Vittima o Carnefice in base alla sua comunicazione verbale, para-verbale e non-verbale. Lo stesso avviene per il nostro interlocutore. Di fatto la relazione sociale è solitamente caratterizzata dall’immedesimazione dei partecipanti in uno di questi tre ruoli, similmente a quanto avviene con l’utilizzo degli Avatar nei videogiochi interattivi.
Ovvero vengono utilizzate delle maschere, caratterizzate da determinati schemi comportamentali, associate a ruoli predefiniti; il Salvatore (colui che vuole salvare il prossimo dai mali del mondo), la Vittima (colui che subisce i mali del mondo) e il Carnefice (colui che perpetra i mali del mondo). La nostra comunicazione verbale, para-verbale e non-verbale risiede dunque all’origine dell’attivazione di uno qualsiasi di questi tre ruoli rispetto ad un altro.
L'errata comunicazione coi bambini
Come noto, tutte le nostre nevrosi (per i ”più” fortunati) e psicosi (per quelli ”meno” fortunati) originano in particolar modo, oltre che dall’influsso di determinati Archetipi ”pre-natali”, dalle variabili condizioni di comfort dei primissimi giorni, anni e mesi di vita. È di conoscenza comune oramai la tendenza da parte del feto ad assimilare le sensazioni, le emozioni e le condizioni di salute psico-fisica della propria madre, percepite all’interno del grembo. Stesso discorso per la ”Pedagogia Nera”, ovvero la tendenza a relazionarsi con i bambini, nei loro primi anni di vita, tentando di educarli tramite atteggiamenti non compassionevoli o non rispettosi laddove non irragionevolmente rigidi o addirittura di tipo abusante/intrusivo.
Le qualità e la tipologia delle parole, degli sguardi e degli atteggiamenti utilizzati dai genitori per rapportarsi ai propri figli, hanno dunque una profonda influenza nello sviluppo di una determinata tipologia caratteriale (Enneatipo) da parte bambino. In sostanza, le modalità relazionali disfunzionali che il genitore ”sceglie” di adottare con i propri figli creeranno in questi ultimi traumi difficili da cancellare, spingendoli ad adottare determinati sistemi di difesa e ”scegliendosi” di fatto la propria nevrosi.(2) In base a quanto esposto dunque, il ”Triangolo Drammatico” trova un sua applicazione pratica già a partire dai nostri primissimi anni di vita.
L’influenza della Meditazione nel ”Triangolo Drammatico”
Uno dei punti chiave per evitare di ritrovarci invischiati nel ”Triangolo Drammatico” risiede dunque in una comunicazione verbale, oltre che gentile, il più possibile chiara, concisa e a tema. Idem dicasi per la nostra comunicazione non verbale; rilassamento facciale, sorriso, spensieratezza e leggerezza di norma comunicano radicamento, predisposizione allo scambio e non conflittualità.
Come già evidenziato negli insegnamenti del Buddismo e dell’Induismo, l’utilizzo inconsapevole della ”lingua” è spesso fonte di sofferenza e di accumulazione di Karma negativo. Per citare il Sutta Nipata nella traduzione di Pio Filippani-Ronconi ”Ad ogni uomo che viene al mondo nasce un’ascia in bocca, con cui lo stolto taglia se stesso, mentre proferisce cattive parole”. Un concetto sicuramente molto attuale in un mondo ”televisivizzato” e ”social-networkratico” sempre più ipnotizzato da gossip, discussioni inutili, faide ego-ipertrofiche e tendenze logorroiche.
Risulta dunque chiaro che la capacità di ”tenere a freno la lingua” sia di fondamentale importanza in questo ambito; è altrettanto chiaro a tutti noi quanto sia difficile, in determinate condizioni di stress emotivo, comunicare in maniera chiara e serena. Per fare questo è necessario prima riuscire ad avere percezione di quello che stiamo dicendo, cosa tutt’altro che scontata. Nella vita di tutti i giorni, spesso e volentieri, parliamo in maniera inconsapevole, automatizzata, meccanica, pensando ad altro, facendo riferimenti vaghi o ”parlando a vanvera”.
Nelle situazioni più difficili poi, ci facciamo prendere dalla rabbia o dal risentimento, dai nostri ruoli, dai nostri doveri, dicendo cose che dovremmo evitare o utilizzando toni di voce inopportuni. È dunque importante come prima cosa diventare consapevoli delle nostre emozioni, delle nostre sensazioni e dei nostri pensieri per poter così evitare che siano essi a decidere per noi quali parole e quali modalità di espressione utilizzare in una particolare situazione. Questo perchè è l’attenta osservazione delle nostre dinamiche interne di tipo nevrotico che ci permette, col tempo, di disattivarle o per citare U Ba Khin ”Non appena la si osserva, essa inzia a perdere la sua forza, lentamente si indebolisce e così viene eliminata”.(3)
Conclusioni
Tramite l’allenamento quotidiano con la Meditazione di Consapevolezza (Sati), è possibile, piano piano, iniziare a vedere i nostri schemi comportamentali, la nostra tendenza nevrotica alla reazione immediata, le nostre interpretazioni e le nostre allucinazioni mentali. Diventando consapevoli dell’attività meccanizzata del nostro cervello e delle nostre risposte comportamentali automatizzate da essa derivanti, è di fatto possibile, nel tempo, riuscire a disinnescarle.
Ad esempio, prendendo coscienza di un pensiero intrusivo od ossessivo, tramite un’osservazione calma ed equanime della sua origine, della sua manifestazione e della sua dissoluzione, ci rendiamo conto che noi non siamo questo pensiero o meglio che questo ci rappresenta solo in parte. Questa realizzazione ci porta alla centratura e al rilassamento e ci permette dunque di evitare di reagire a tali pensieri adottando costantemente i medesimi schemi
Allo stesso modo, questo allenamento ci permetterà di evitare, nella relazione con il prossimo, di reagire meccanicamente immedesimandoci in uno dei tre ruoli del ”Triangolo Drammatico” ed utilizzando dunque inconsapevolmente forme di comunicazione lesiva, confusionaria e contro-producente. Di fatto attenendoci al terzo passo dell’Ottuplice Pensiero, ovvero il ”Linguaggio Appropriato”.
Tommaso Chiussi,
Istruttore Metodo-MOM
Note:
(1) T. Harris, Io sono OK tu sei OK, 1988, pag. 135
(2) H. Gunaratana, La felicità in otto passi, 2004, pag. 90
(3) S. U Ba Khin, Il tempo della meditazione Vipassana è arrivato, 1993, pag. 41