Grazie ad alcuni esperimenti preliminari di ricerca scientifica dedicata, in tempi recenti è stato possibile meglio comprendere nello specifico l’utilità della Mindfulness sul piano Neuropsicologico.
Già a partire dai primi anni 2000, alcune ricerche condotte negli Stati Uniti sui sistemi attentivi di persone praticanti la Mindfulness hanno evidenziato come l’utilizzo di queste pratiche vada apparentemente a modificare in maniera positiva le strutture cerebrali; in questo contesto è stato notato che nei soggetti con esperienza meditativa avanzata, le regioni del cervello associate all’attenzione e all’elaborazione delle percezioni sensoriali risultano più spesse rispetto a quelle dei non meditanti. Inoltre, nelle aree cerebrali prese in esame, anche la quantità di materia grigia risulta essere maggiore nei soggetti con esperienza meditativa rispetto ai non meditanti.
Stando ad ulteriori esperimenti sembrerebbe inoltre che il consueto decremento del volume di materia grigia nelle aree attentive del cervello, conseguente all’invecchiamento psicofisico, abbia un impatto largamente minore sui meditanti esperti rispetto ai non meditanti. Basandosi su un altro esperimento, sempre condotto negli Stati Uniti, la capacità di ancorarsi al ”Qui e Ora”, ovvero di riuscire a concentrarsi sull’esperienza presente, risulterebbe molto più consolidata nei soggetti meditanti rispetto ai non meditanti; se nei secondi infatti il tentativo di ancorarsi all’esperienza presente va ad attivare anche zone cerebrali associate alla propria storia personale, questo nei primi non accade.
È stato inoltre notato che in alcuni monaci buddhisti con esperienza meditativa avanzata, le aree cerebrali connesse alla generazione della compassione e alla stimolazione di stati emotivi positivi risultano molto più attive rispetto a quelle dei soggetti non meditanti.(1)
Esperimenti più recenti, condotti da un gruppo di ricerca legato alla cattedra di Scienze Mediche e Biologiche (DSMB) dell’Università di Udine nel 2014, hanno evidenziato come la pratica di discipline meditative di tradizione Buddhista vada ad attivare le strutture del lobo frontale collegate con il controllo delle funzioni esecutive. Un successivo esperimento ha riscontrato, tramite l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI), come la pratica Anapanasati e il Body Scan influenzino l’attenzione volontaria ed il senso di benessere psicofisco tramite le strutture della corteccia prefrontale dorsolaterale destra, il corpo caudato e l’insula anteriore di sinistra.(2)
Cosa modifica la mindfulness? A cosa serve la mindfulness?
Uno dei benefici della pratica della Mindfulness, probabilmente il più importante, è la Ripercezione, ovvero la capacità di osservare una determinata manifestazione emotiva, sensoriale o mentale tramite il cosidetto ”Testimone Interiore”. La Ripercezione si basa sulle esperienze note come disidentificazione, non attaccamento, decentramento e de-automatizzazione ovvero sull’equanimità; tale esperienza ci permette di constatare che l’osservazione dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e delle nostre sensazioni è cosa diversa dall’identificarsi con esse.
Realizzare questo ci libera e ci dona la possibilità di spezzare le catene dei nostri automatismi cerebrali, lasciandoci liberi di poterli coscientemente sperimentare ed osservare per quello che sono, ovvero brevi ”scosse elettriche” neurali con un loro inizio, una loro durata ed una loro fine. ”Scosse elettriche”, dunque oggetti impermanenti, nei quali l’essere umano tende invece ad identificarsi totalmente per tutta la durata della propria vita.
Conclusioni su mindfulness e cervello
Basandosi sui dati poc’anzi esposti, appare dunque ragionevole ipotizzare che la pratica di tecniche meditative di tipo tradizionale/spirituale, come ad esempio la Meditazione di Consapevolezza, vada ad influire beneficamente sulla nostra attività cerebrale, sulla salute e sulla funzionalità del nostro cervello e di conseguenza anche sulla nostra qualità della vita; nella pratica questo può tradursi in una maggiore presenza di stati emotivi positivi, un maggiore rilassamento psicofisico, un’ incrementata flessibilità dinnanzi alle difficoltà della vita ed un miglioramento della nostra comunicazione verbale, paraverbale e non verbale.
NOTE – Mindfulness e neuroscienze
(1) Sugli esperimenti fin qui citati si veda: S. L. Shapiro, Linda E. Carlson, L’Arte e la Scienza della Mindfulness, 2012, p. 124-127.